30-31 n.s./2023
MENTE, CERVELLO, AMBIENTE: QUESTIONI

a cura di

Silvano Tagliagambe, Fabrizio Desideri, Giuseppe Vitiello e Paolo Francesco Pieri 

 
PREFAZIONEFabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri // “Ebrezza dialettica”. Figure della coscienza Fabrizio Desideri / Un ambiente a misura del cervello Silvano Tagliagambe / Cervello, mente e cuoreGiuseppe Vitiello / Sinapsi della memoriaArnaldo Benini / Una coscienza antropodecentrica Alberto Giovanni Biuso / La coscienza ubiqua. Una breve apologia del panpsichismoMichele Di Francesco e Alfredo Tomasetta / La cognizione incorporata e situata: riforma del computazionismo o ritorno al comportamentismo?Massimo Marraffa e Tiziana Vistarini / Comprendere o spiegare il problema mente-corpo?Marco Salucci / Significatività e complementarità. Una retrospettiva fenomenologica sul problema mente-corpoFilippo Nobili / Oltre i vincoli del dualismo e del monismo materialista: la teoria neurofenomenologica dei due mondiEnrico Facco // INDICE PER AUTORE DEGLI ARTICOLI DI “ATQUE” 1990-2023

 

 

 

[Anteprima delle prime pagine di ogni articolo del fascicolo.]

 

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Questo fascicolo di «Atque» intende riflettere sulle questioni relative al rapporto complesso tra mente, cervello e ambiente, che è al centro sia delle ricerche negli ambiti della filosofia contemporanea e, in particolare, della filosofia della mente, delle neuroscienze, della fisica, della matematica, della logica, e della psicologia.

C’è da considerare in primo luogo che dagli studi più recenti delle neuroscienze è stata confermata, sulla base di impressionanti risultati sperimentali, la tesi relativa alla “plasticità del cervello”.

E in secondo luogo che dagli studi più recenti della fisica, riguardanti in particolare la teoria quantistica dei campi, sono derivati modelli basati sul gioco complesso dello scambio continuo (nel senso di quel commercium che Kant definisce Wechselwirkung) tra il cervello e l’ambiente. Si pensi, al riguardo, al modello di Freeman-Vitiello, dove si ha l’immagine di un sistema che vive tramite una serie continua di “transizioni di fase” e dunque di nuovi livelli emergenti, dovuta, in particolare, a un meccanismo per la formazione di strutture ordinate noto come rottura spontanea di simmetria (SSB, Spontaneous Symmetry Breaking).

C’è poi in terzo luogo da considerare che anche nella matematica e nella logica si va affacciando con sempre maggiore incidenza la questione della relazione tra la mente e l’ambiente. Per questa via emerge la convinzione che anche ammettendo che la mente, in qualche stato originario, possa essere assimilata a un sistema assiomatico, la sua interazione con l’ambiente finisce sia per rendere via via più complesso il sistema di partenza, sia per modificarlo strutturalmente in modo impredicibile – sino a sfuggire alla nostra analisi e conservare comunque una peculiare coerenza.

Va infine rilevato in quarto luogo che in ambito filosofico, sì è reso sempre più fecondo un approccio al problema della mente e della coscienza basato sulla nozione di soglia emergente (o sopravveniente) capace di superare la sterile alternativa tra riduzionismo naturalistico (la mente non è altro che il cervello) e dualismo speculativo (la mente è radicalmente altro dal cervello). Su questa base – come recenti ricerche filosofiche sul rapporto tra coscienza di sé e origine dell’estetico hanno mostrato (una tesi già sostenuta nel libro di F. Desideri, L’ascolto della coscienza, Milano 1998 – di cui è in corso una nuova edizione) – è possibile esplorare nuovi paradigmi del classico rapporto tra percezione, emozione e intelligenza.

Proprio a partire da questa serie di considerazioni il fascicolo raccoglie contributi che in base alle attuali ricerche, affrontano come tema centrale il nesso tra mente, cervello e ambiente sia nell’ambito delle neuroscienze e della psicologia cognitiva, sia in quello della filosofia, della fisica, della logica e della neurologia. E raccoglie inoltre ibridazioni interdisciplinari e magari sviluppi delle tematiche di cui si è appena detto.

 

  1. Della coscienza va fondamentalmente difeso, con spirito kantiano, il carattere noumenico, per cui occorre considerare le aporie immanenti a una sua concezione puramente naturalistica. Di una naturalizzazione radicale della coscienza va rilevato il tentativo da parte di Nietzsche, quando, in particolare, nell’aforisma 119 di Aurora e negli aforismi 11 e 354 de La gaia scienza, emerge come, nella relativa definizione, la coscienza sia l’ultimo e più incompiuto sviluppo dell’organico. E una volta mostrati i limiti e le interne contraddizioni della concezione nietzschiana della coscienza, è possibile affrontare due figure di perfezione della coscienza: quella data dall’“esperienza del risveglio” (attraverso un passo tratto dal libro di Roberto Calasso su Kafka) e quella implicata nell’autocoscienza come “sapere assoluto” che costituisce la conclusione della Fenomenologia dello spirito di Hegel (Fabrizio Desideri).

  1. Che il naturalismo sia in crisi emerge in vario modo. Pensiamo a una delle scoperte più importanti degli ultimi decenni avvenuta nel campo delle neuroscienze dove si può adeguatamente sostenere che il cervello sia un organo estremamente dinamico, non solo a livello funzionale ma anche morfologico. La “plasticità del cervello” ha infatti soppiantato il concetto del cervello come un organo “statico”, ossia senza possibilità di ulteriori modificazioni soprattutto morfologiche, una volta terminato il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Questo ha comportato ammettere l’esistenza di una stretta relazione tra cervello e ambiente che solleva una questione non sempre considerata con la dovuta attenzione. Se in seguito a essa il cervello si modifica e differenzia al punto che ormai viene dato per acquisito che non esistono due cervelli identici neppure nel caso dei gemelli monozigoti, perché del tutto identiche non possono ovviamente essere le loro relazioni con l’ambiente, questa differenziazione, in seguito allo stretto nesso di cui stiamo parlando, non può non coinvolgere anche l’ambiente, che non può di conseguenza essere più inteso e trattato in modo generico e indifferenziato, come un qualcosa che va ritenuto uguale per tutti. Ne consegue che l’ambiente, il quale costituisce il contesto di riferimento della nostra esperienza, va inteso come una sorta di “Doppio” del nostro cervello e che per istituire un corretto rapporto con esso non basta copiare, non basta un puro e semplice “mirroring”, occorre un’operazione creativa, una mirroring che non riguarda ciò che semplicemente accade, l’effettuale, ma il possibile, ciò che potrebbe accadere e che può essere visto in maniera alternativa. Si tratta di un nodo cruciale fondamentale che oggi è al centro dell’attenzione convergente delle neuroscienze, dell’epigenetica, della teoria quantistica dei campi, dell’epistemologia e dell’estetica in una prospettiva autenticamente interdisciplinare di dialogo concreto tra diversi approcci specialistici (Silvano Tagliagambe).

  1. In altre parole, il cervello è aperto sul suo ambiente. Ed è questo a determinare il cosidetto carattere “dissipativo” della dinamica cerebrale. Il ciclo azione-percezione e l’intrinseco sistema nervoso cardiaco portano alla costruzione di una visione del mondo che il soggetto individua come il suo Doppio. L’attività mentale consiste pertanto nella ricognizione, nel rapporto con il Doppio, di attività percettive passate, da utilizzare nella pianificazione dell’attività intenzionale futura. L’atto di coscienza risiede allora nell’ineliminabile dialogo con il Doppio. È perciò che vanno presi in considerazione sia la prontezza della reazione del cervello al variare degli stimoli esterni, sia alcuni aspetti del sogno, sia la dimensione sociale del cervello (Giuseppe Vitiello).

  1. Che il cervello sia un organo estremamente dinamico, non solo a livello funzionale ma anche morfologico, ce lo dice il concetto di “plasticità” che si osserva anche nel variare dell’esercizio della memoria con la nostra età. Come ormai sappiamo nel cervello sono state rilevate delle “sinapsi” ma non tutti sanno della scoperta di “sinapsi mute” (silent synapses). Le prime sono l’organo della trasmissione elettrochimica dei potenziali d’azione da un neurone all’altro e dal neurone all’organo bersaglio (gli 86 miliardi di neuroni del cervello umano sono collegati fra di loro, senza continuità anatomica, da circa 600 trilioni di sinapsi, in fessure di 20 milionesimi di millimetro). Le silent synapses, che non sempre reagiscono allo stimolo, sono frequentissime nella prima età, quando cioè s’impara molto e si trattiene ciò che s’è imparato. Verosimilmente ciò che di nuovo s’impara, è dovuto all’attivazione di sinapsi fino ad allora silenti. Per questo il loro numero diminuisce, verosimilmente perché coinvolte nell’apprendimento. Il 30 per cento rimane silente fino alla tarda età. Scoprire il modo di attivarle potrebbe prevenire l’indebolimento della memoria di fissazione, di regola primo segnale che il cervello risente dell’età (Arnaldo Benini).

  1. C’è da pensare che antichi dualismi e nuovi riduzionismi possono venire oltrepassati in una prospettiva, definibile come zooantropologia/etoantropologia, che ha la capacità di leggere ogni specie, ogni funzione e ogni coscienza del mondo come espressione di una ricchezza antropodecentrica che salvaguarda l’identità della vita e la differenza delle sue espressioni. La riconduzione anche dell’umano e della sua coscienza d’esserci all’ampio mondo della sensibilità animale è infatti da ritenere tra i risultati più fecondi di una filosofia della mente che sia aperta al contributo delle scienze biologiche (Alberto Giovanni Biuso).

  1. L’insoddisfazione verso le teorie riduzioniste della mente cosciente è sempre più cresciuta nell’attuale filosofia della mente. È perciò opportuno esplorare una teoria non-riduzionista che ha assunto di recente un ruolo centrale nel dibattito: il panpsichismo. Così da mostrare che il panpsichismo, nonostante la sua implausibilità iniziale, è – sul piano teorico – semplice ed elegante e – sul piano pratico – riconfigura il rapporto tra mente, cervello e ambiente per cui può suggerire nuovi atteggiamenti etici verso lo stesso ambiente (Michele Di Francesco e Alfredo Tomasetta).

  1. Riflettendo sulla relazione tra mente, cervello e ambiente nella prospettiva storica di più di cinquant’anni di dibattito sui fondamenti della scienza cognitiva, è possibile identificare un’agenda riformista che mira a incorporare alcune idee importanti della “cognizione delle 4E” nel quadro computazionale e rappresentazionale. Il riformismo è tuttavia un compito difficile, per cui è opportuno concentrarsi sui due problemi che nella sua stessa agenda si dispiegano. Il primo riguarda la sostituzione della nozione simbolica di rappresentazione mentale con l’idea di un continuum di generi rappresentazionali. Il secondo riguarda invece la possibilità di combinare la spiegazione meccanicistico-computazionale con quella dinamicista (Massimo Marraffa e Tiziana Vistarini).

  1. D’altro canto, “spiegare” e “comprendere” il “problema mente-corpo” non sono la stessa cosa: spiegare è un tema epistemologico, comprendere psicologico. Pensiamo a come la familiarità con le spiegazioni causali, generi un senso di comprensione che non abbiamo con le spiegazioni non causali, e a quanto ciò ostacoli l’adozione di spiegazioni non causali del problema mente-corpo. Dal momento che l’“argomento della conoscenza” fa leva proprio sul senso di familiarità, e così facendo finisce col dichiarare il problema un hard problem, è opportuno tentare di mostrare come la mancata comprensione del problema sia un limite cognitivo e non necessariamente un ostacolo alla spiegazione (Marco Salucci).

  1. Sarebbe difficile non ammettere come il recente dibattito sulla natura della mente e sull’opportunità di una sua riduzione neurobiologica, risenta ancora dell’impostazione fornita al problema da Descartes agli albori della rivoluzione scientifica. A tale riguardo c’è da pensare quanto un’analisi fenomenologica degli atteggiamenti e delle prestazioni intenzionali che contraddistinguono l’operare della scienza moderna, consentirebbe, a certe condizioni, di chiarire la posta in gioco in ogni tentativo di riduzione, evitando così di ricadere nelle fallacie e ingenuità proprie di un approccio acritico alla cognizione umana. In altri termini c’è da domandarsi se il riduzionismo scientifico non debba richiedere, come suo complemento ineludibile, un orizzonte di significatività che la fenomenologia husserliana ben si presterebbe per certe vie a elucidare, al fine di promuovere la compossibilità di teorie e proposte esplicative eterogenee (Filippo Nobili).

  1. La definizione di coscienza è un problema transdisciplinare difficile (se possibile). Le teorie della coscienza infatti si estendono dalle neuroscienze alla filosofia, alle scienze sociali e all’antropologia, fino alla fisica quantistica. Nei decenni scorsi la definizione di coscienza si è dibattuta prevalentemente tra rigide posizioni di matrice monista materialista e dualista, mentre nelle neuroscienze è stata essenzialmente affrontata con l’approccio dominante meccanicista-riduzionista. L’acceso dibattito degli scorsi decenni si sta comunque attenuando, e recentemente sono state introdotte visioni moniste più ampie che includono il mondo “immateriale” della coscienza. In questo processo è opportuno riconsiderare il posto e il ruolo della coscienza nel mondo, data la sua inscindibile interrelazione con la realtà. Nel 1977 Popper e Eccles hanno introdotto la Teoria dei Tre Mondi, nel tentativo di superare i limiti del materialismo e del determinismo nella comprensione della relazione mente-cervello-realtà. Le profonde implicazioni epistemologiche di questa teoria hanno però sollevato forti critiche. A distanza di mezzo secolo dalla sua introduzione c’è da chiedersi se non sia opportuno pensare a una nuova teoria neurofenomenologica dei tre mondi, che prende in considerazione le precedenti critiche e le nuove acquisizioni delle neuroscienze, nella speranza di fornire un contributo al processo di comprensione della coscienza e dell’inseparabile interrelazione mente-cervello-mondo (Enrico Facco).

Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

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