22/2000
KARL JASPERS E LA PSICOPATOLOGIA

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Arnaldo Ballerini, “La incompresa ‘incomprensibilità’ di Karl Jaspers”/Franco Basaglia e Agostino Pirella, “Deliri primari e deliri secondari, e problemi fenomenologici di inquadramento”/Antonella Di Ceglie, “La categoria jaspersiana della incomprensibilità tra dimensione individuale e dimensione sociale”/Mauro Fornaro, “L’empatia: da Jaspers a Freud e oltre”/Umberto Galimberti, “Karl Jaspers e la psicopatologia”/Alberto Gaston, “Karl Jaspers: l’inattuale attualità della psicopatologia”/Karl ]aspers, “La prospettiva fenomenologica in psicopatologia”/Maria !lena Marozza, “Da Jaspers a Jung. Il ripensamento dell’esperienza come base della teoria clinica”/Vanna Berlincioni e Fausto Petrella, “Note su ‘Per la critica della psicoanalisi’ di Karl Jaspers”/Paolo Francesco Pieri, “Conoscenza e osservazione. Due voci del Dizionario junghiano, Bollati Boringhieri”/Fabio Polidori, “Jaspers, le rovine di Nietzsche”/Mario Rossi Monti, “Lo stato di emarginazione della psicopatologia. Quali responsabilità per gli psicopatologi?”

 

[…] Circoscritta dal suo metodo, che le impone di attenersi alle oggettività ipoteticamente costruite, la scienza non pensa se il volto del reale sia proprio quello che risulta dalla sua matematica oggettivazione.

Questo “non-pensato” è ciò che resta da pensare, ma è anche ciò che la scienza, per la sua struttura metodologica, non può pensare (K. Jaspers, Wesen und Wert der Wissenschaft, Groningen, 1938, trad. it. La natura e il valore della scienza, in La mia filosofia, Einaudi, Torino, 1946, pp. 109-127).

Da qui l’inevitabile conclusione a cui Jaspers perviene e che enuncia in una riunione promessa dall’Associazione psichiatrica forense che si riuniva periodicamente ad Heidelberg: «I medici e gli psichiatri devono incominciare a pensare». La risposta, amichevole ma decisa, dei convenuti fu «Jaspers lo si deve prendere a bastonate» (K. Jaspers, Philosophie und Welt, Piper, München, 1958, trad. it. parziale Autobiografia filosofica, Mareno, Napoli 1969, p. 29).

Al di là della battuta scherzosa, ma rivelativa della fede indiscussa che la psichiatria dell’epoca poneva nei metodi della scienza naturalisticamente impostata, val la pena di seguire Jaspers in quelle considerazioni che lo condussero alla fondazione dell’autonomia della psichiatria nei confronti di tutte le scienze che procedono con metodiche oggettivanti: «A me sembrava che quel fraintendimento che viziava il modo di pensare psichiatrico nascesse dal fatto che si trascurava la natura della cosa da pensare. Se infatti oggetto della psichiatria è l’uomo, e non solo il suo corpo, ma lui stesso nella totalità della sua persona, [ … ] occorreva rendersi conto che l’uomo, nella sua totalità, sta oltre [über-hinaus] ogni possibile e afferrabile aggettivazione. In quanto aperto alla comprensione delle cose, l’uomo non può essere ridotto a oggetto di studio, perché così si distrugge quella totalità comprensiva che noi siamo [das Umgreifende das wir selbst sind], per far emergere solo qualche suo aspetto oggettivo» (K. Jaspers, Philosophie und Welt, Piper, München 1958, trad. it. parziale Autobiografia filosofica, Moreno, Napoli 1969, pp. 29, 34).

L’idea di totalità (das Umgrezfende), che si profila ai limiti di ogni particolare ricerca scientifica, avvertì Jaspers del carattere non assoluto della scienza. Il senso di questa idea non poteva essere raggiunto da alcuna analisi oggettivante perché, per ampia che questa fosse, si muoveva sempre, in quanto scientifica, in quella scissione di soggetto- oggetto (Subjekt-Objekt-Spaltung) che consentiva all’oggetto di apparire nei limiti che il soggetto, con le sue ipotesi anticipanti, aveva preventivamente determinato. Per giungere all’uomo nella sua totalità era necessario, a parere di Jaspers, oltrepassare la scissione di soggetto e oggetto, in cui le scienze, a motivo della loro impostazione metodologica, costantemente si trattengono. Era necessario “pensare oltre (iiber-hinaus-denken)”, al di là di ciò che è oggettivo (über das Gegenstlindliche) (K. Jaspers, Psychologie der Weltanschauungen (1919), trad. it. Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio, Roma 1950, pp. 33-34).

Quest’idea, sufficiente a frantumare il carattere assoluto del cosmo scientifico, valse a Jaspers l’accusa di nichilismo rivoltogli da un collega medico impressionato dal relativismo in cui Jaspers lasciava cadere ogni metodica scientifica: «Lei non ha alcuna convinzione. Impostando le cose come lei dice non si può fare alcuna ricerca. Senza una teoria generale non c’è scienza, la scienza nasce e si sviluppa solo mediante la teoria. Lei distrugge la solidità delle posizioni mediche. Lei è un nichilista pericoloso» (K. Jaspers, Philosophie und Welt, cit., pp. 35-36). L’accusa di nichilismo non è insignificante, al contrario denuncia un tratto tipico della mentalità scientifica che, ridotto il reale al suo aspetto metodicamente conosciuto, pensa che, al di là dell’oggetto ordinato dalle ipotesi di lavoro e confermato dalla verifica sperimentale, non ci sia più niente. Chi mette in atto un pensiero che pretende di andare oltre l’oggettività, pensata come risolutiva della totalità del reale, ha a che fare con niente, insistervi è puro nichilismo.

Ma come si può oltrepassare l’oggettività? Come è possibile uscire dalla scissione soggetto-oggetto in cui la scienza, dall’età di Cartesio in poi, ha raccolto tutte le possibilità del pensiero? In un solo modo, risponde Jaspers: radicalizzando l’orizzonte della presenza sino ad avvertire quella presenza originaria che abbracciando accoglie (umgreift), e accogliendo fonda (grundet) la presenza di un oggetto a un soggetto, a cui si limita, o nei cui limiti si trattiene l’indagine scientifica. «Noi dobbiamo imparare dai filosofi» dice Jaspers (Ivi, p. 292, trad. it. cit. p. 29) […].

Umberto Galimberti

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