21 n.s./2017
VOLONTÀ.
UNA SFIDA CONTEMPORANEA

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a cura di

Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

 

PREFAZIONEFabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri // VOLERE E CONTINGENZA / Il soggetto del volere Carlo Sini / Rappresentazioni e narrazioni dell’azione: l’altrimenti e la decisione. Per una fenomenologia del contingente Rossella Bonito Oliva // LA NATURA DELLA VOLONTÀ / Neuroscienze della volontà e della decisioneFilippo Tempia / Volontà, libero arbitrio ed epifenomenismoMario De Caro // FENOMENOLOGIA DELLA VOLONTÀ / Intenzionalità fungente: involontarietà e impersonalità in fenomenologiaRoberta Lanfredini / Friedrich Nietzsche: critica e affermazione della “volontà” Giuliano Campioni // ANTINOMIE DELLA VOLONTÀ / Io, coscienza e volontà. La necessità del possibileAmedeo Ruberto / La dialettica della volontà e dell’involontarioGiovanni Stanghellini e Milena Mancini // UN ALTRO ACCESSO ALLA VOLONTÀ / L’evento della volontà in una prospettiva comparativa. L’azione e l’agente nella BhagavadgītāLuca Pinzolo // INDICE PER AUTORE DEGLI ARTICOLI DI “ATQUE” 1990-2017

 

 
 

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Tra i concetti classici del pensiero filosofico e psicologico quello di “volontà” appare oggi uno dei concetti più interrogati e messi in questione nei suoi assetti tradizionali, a partire dallo stress e alla revisione cui tali assetti sono sottoposti da parte delle nuove scienze della mente e del cervello.

Anzitutto, a essere posta in questione è proprio l’autonomia della volontà, il suo essere “causa sui” a differenza di ogni altro fenomeno naturale. Questo, sia nella concezione razionale (l’autonomia della volontà come effetto della ragione) sia nella versione per così dire decisionista e volontarista (l’autonomia della volontà come quanto riesce a sbloccare i dilemmi del puro pensare).

Secondariamente, si osserva come la volontà tragga motivo e addirittura sorga da complessi e stati emozionali, talvolta in conflitto al loro interno. Come se l’autonomia della volontà non fosse altro che l’affermarsi di uno stato emozionale su altri.

Un terzo aspetto di problematizzazione della volontà è quello relativo ai suoi correlati neurali e ai circuiti cerebrali che coinvolge. Qui uno dei temi più scottanti diviene quello del rapporto tra volontà e coscienza, nel presupposto che quest’ultima (come hanno mostrato i fondamentali studi di Libet) giunge sempre dopo che una decisione è stata presa.

A questo punto diviene quanto mai attuale, per quanto difficile da tracciare, la distinzione tra il volontario e l’involontario: quanto siamo signori e responsabili delle nostre azioni e quanto, invece, queste sono conseguenza (mediata talvolta in maniera sofisticata) da processi ed eredità culturali, sollecitazioni ambientali e scelte “storiche” precedenti, non solo di tipo individuale.

In pratica, a venir messa in questione è la stessa nozione di soggetto autonomo e responsabile, soprattutto perché si ritengono impraticabili le soluzioni dualiste e intrinsecamente aporetiche quelle riduzionistiche.

Considerando come ogni azione appaia provvista di un senso che è accessibile a chi la compie e comprensibile a chi la osserva, non possiamo eludere che tale senso, per un verso, sia effetto di una attribuzione, per cui è vincolato alla formazione che si è acquisita e ai mezzi di cui si dispone per verbalizzarla; e, per un altro, sia ciò che innanzitutto dispiega i differenti elementi che vengono a costituire il punto di vista con cui l’azione stessa è guardata.

Siamo così esposti a un duplice dilemma. Da un lato, la volontà pare traballare nella sua autocostituente autonomia fino a dissolversi in qualcosa di storicamente divenuto ovvero nella ricostruzione di un processo che si è alimentato di una pluralità di fattori sia endogeni (emozioni, impulsi, frustrazioni, desideri) sia esogeni (contesti, culture, determinazioni di ordine genetico e, più in generale, biologico). Dall’altro, il nesso concettualmente fondante tra volontà e intenzione consapevole pare dissolversi nel gioco pragmatico delle attribuzioni e linguistiche e delle negoziazioni sociali.

È a partire da questo quadro problematico e da tali sollecitazioni, che il presente numero di Atque raccoglie contributi che intervengono sia sulla genealogia filosofica del concetto classico di volontà (dalle analisi aristoteliche e stoiche dell’agire umano fino al concetto kantiano di autonomia della volontà come autonomia della ragione sotto il profilo pratico) sia sulla complessa soglia rappresentata dal modo con cui la questione della volontà è ripresa e revisionata in vari ambiti: dalla filosofia alle neuroscienze, dalle scienze cognitive alla filosofia della mente e ai saperi psicoanalitici.

I molteplici contributi che qui si raccolgono, vengono articolati in differenti parti: la prima affronta il nesso tra volere e contingenza; la seconda delinea il carattere della natura della volontà; la terza si intrattiene sulla fenomenologia della volontà; la quarta evidenzia le diverse antinomie della volontà; l’ultima accede alla volontà in una prospettiva di tipo comparativo.

Questo numero di Atque sostanzialmente ripropone nella sua attualità, e problematicità, il motivo che percorre tutta la filosofia di Schopenhauer, vale a dire il fatto che si possa parlare ancora di mondo come “Volontà e rappresentazione”.

Nei vari contributi risuonano le tesi di quell’interprete raffinato e originale della tradizione di pensiero francese sul rapporto tra volontà, azione e persona che è Paul Ricoeur – che alla “filosofia della volontà” ha dedicato una delle sue prime e importanti opere (Philosophie de la volonté. I: Le volontaire et l’involontaire, Aubier 1950). Ma vengono anche ripresi e discussi come i maggiori interpreti della filosofia analitica contemporanea (da Donald Davidson a John Searle) abbiano messo a fuoco il concetto di volontà (con particolare riferimento non solo al tema dell’akrasia ma anche a quello della causazione e dell’intenzionalità).

Percorrendo le varie concezioni sui limiti e le condizioni della “coscienza di agire”, non viene certo elusa la classica questione del “libero arbitrio”, dove ci si domanda se in effetti gli esseri umani determinino il proprio destino e siano responsabili delle azioni che compiono. Una questione classica che nel dibattito contemporaneo si declina in particolare nell’opposizione tra soluzioni compatibiliste e incompatibiliste del problema.

  1. Più ordinatamente, il fascicolo si apre pensando il nesso che intercorre tra volere e contingenza. Soffermandosi sul problema del soggetto del volere, si considera che a chi si domandasse quale sia il soggetto della volontà, e così intendesse soddisfare quel desiderio di verità che momentaneamente dissolve l’inquietudine dell’esistenza, sarebbe possibile rispondere che è preferibile immaginare la propria volontà, ciò che ogni volta ci spinge e ci muove, come un accidentale dispiegarsi del mondo e della vita sociale cui si appartiene. Con la preghiera di ascoltare questa “volontà di verità” – a sua volta – come un accidentale dispiegarsi del mondo e della vita sociale (Carlo Sini).
  2. D’altronde, quando si analizza, si descrive o si definisce la volontà non possiamo non spostarci verso un approccio etico. E ciò per il fatto che il volere, all’interno di una fenomenologia del contingente, mette in gioco decisioni e azioni, nonché il rapporto con il passato e il presente: in definitiva dispiega l’intera forma umana della vita. Si pensi a questo proposito come Hannah Arendt ne abbia colto la centralità nella vita della mente umana la cui creatività e pluralità sono messe a rischio dall’“assenza di pensiero”. D’altra parte, c’è da ricordare che un confronto con il mistero della volontà ha segnato il Moderno. Con approcci diversi, Kant e Hegel ne hanno fatto oggetto di riflessione legando strettamente la volontà all’esercizio della libertà. In effetti la volontà imprime l’orientamento all’opera dell’uomo, disegnando ed esprimendo la sua capacità di pensiero e di giudizio. E la crisi del soggetto e della fiducia nel progresso della civiltà umana ha riproposto l’enigma della volontà. Un enigma che ha le sue radici nella stessa rappresentazione che l’uomo dà di sé stesso. Ogni narrazione di sé prova infatti a dare ragione, a costruire una trama per tutto quanto volontariamente o involontariamente si è fatto. Non trascurando il ruolo che il desiderio, nella sua forma sempre plurale, svolge e ha svolto in questo fare di cui l’uomo consiste. Per un “uomo senza qualità” l’enigma sarebbe risolto alla radice liberandolo dall’inquietudine del desiderio (Rossella Bonito Oliva).
  3. Pensando invece la natura della volontà, ci si sofferma innanzitutto sulle neuroscienze che negli ultimi decenni hanno iniziato a studiare i meccanismi cerebrali delle decisioni coscienti. In tale ambito, i risultati sul movimento volontario hanno mostrato che un’area cerebrale si attiva prima che il soggetto sia cosciente della propria volontà di agire. E questo dato ha portato a conclusioni paradossali, come la negazione di qualsiasi ruolo causale della coscienza e del libero arbitrio. Tale interpretazione è stata comunque messa in vario modo in discussione: sia perché il tempo percepito è una costruzione mentale non fedele alla realtà; sia perché l’area cerebrale in questione non è la prima ad attivarsi ma è preceduta da una codifica del compito da svolgere. Un esempio migliore di decisione cosciente è fornito dai giudizi morali, per i quali recenti studi di neuropsicologia e di “imaging funzionale” hanno evidenziato un ruolo primario delle emozioni. Tuttavia, nelle decisioni morali, le intuizioni permeate dalle emozioni vengono integrate con il ragionamento razionale mediante processi di cui il soggetto è solo parzialmente consapevole. Il giudizio che scaturisce da tale integrazione può essere rielaborato coscientemente fino a giungere a una diversa decisione. Si propone pertanto che il concetto di rapporto causale mente-cervello debba essere superato dalla considerazione che l’accensione globale che coinvolge quasi tutte le aree cerebrali è simultanea all’esperienza cosciente: si tratta di un’immensa rete neuronale attiva e sincronizzata, che costituisce uno spazio di lavoro comune in cui tutti gli aspetti elaborati in aree diverse vengono condivisi. Con il modello di mente come spazio globale di lavoro si potrebbe addirittura superare ogni insidia dualista quanto al rapporto mente-cervello. Rimane comunque il mistero della natura della coscienza presente in questa struttura materiale quando si trova in tale stato funzionale (Filippo Tempia).
  4. Sempre all’interno della natura della volontà, si discute del ruolo delle scienze cognitive e delle neuroscienze cognitive nel dibattito sul libero arbitrio. E lo si fa argomentando che, lungi dal provare l’illusorietà del libero arbitrio, come sostiene un numero crescente di scienziati e filosofi, gli esperimenti presentati come refutazione finale del libero arbitrio mostrano, tutt’al più, che la nostra coscienza è molto più opaca a sé stessa di quanto non si presumesse. Ciò, tuttavia, non cambia sostanzialmente lo “status quaestionis” riguardo ai due classici dibattiti sul libero arbitrio (Mario De Caro).
  5. Trattando invece la nozione di volontà nella sua fenomenologia emerge necessariamente il suo rapporto costitutivo con la nozione di intenzionalità. Se l’intenzionalità è però assunta come una originaria connessione, ne discende come essa non dipenda da una volontà del soggetto: essa è intenzionalità fungente e come tale funge originariamente e costantemente in una molteplicità di modi operativi. È per ciò che parlando di volontà merita fare riferimento all’intersoggettività e alla sfera del mondo-della-vita. In modo più specifico occorre dire che del termine intenzionalità esistono due significati: quello statico che si riferisce alle nozioni attive di coscienza e costituzione, e quello genetico che ruota attorno alle nozioni passive di corpo e co-emergenza. Il primo si riferisce alla centralità della rappresentazione; nel secondo, i concetti di impersonalità e anonimato assumono un ruolo cruciale anche a livello di semplice sensazione. Prendendo questa distinzione come punto di partenza, non si può allora non svolgere un’indagine sulla relazione complementare tra volontarietà e involontarietà (Roberta Lanfredini).
  6. Il fenomeno della “volontà” (della volontà tra virgolette) è affermato e contemporaneamente criticato da Friedrich Nietzsche. Ciò che con una serie di precisi passaggi si intende chiarire è il complesso rapporto che Nietzsche ha con il tema della “volontà” soprattutto nel confronto con Schopenhauer e di conseguenza, in prospettiva, con il tema della “volontà di potenza” – vista spesso, erroneamente, come un semplice potenziamento della prima. Il rapporto con La storia del materialismo di Lange mette in crisi, fin dal periodo precedente La nascita della tragedia, la posizione metafisica del filosofo pessimista facendo approdare Nietzsche a un radicale fenomenismo. Si contesta radicalmente la pretesa fondamentale della metafisica schopenhaueriana, di aver reso, con la “volontà”, concretamente accessibile la cosa in sé. Il tema della libera “poesia concettuale” di Lange permette però a Nietzsche di rimanere fedele a Schopenhauer e di costruire con la Volontà – Uno originario, la “metafisica dell’arte” del periodo wagneriano che intende avere un alto valore pragmatico per la costruzione e il mantenimento della comunità. I frammenti postumi, anche del periodo, mostrano come rimane costante la critica di Nietzsche alla metafisica della volontà da lui intesa come “forma più universale dell’apparenza”. Con Umano troppo umano l’atteggiamento critico di Nietzsche verso la ‘volontà’ trova pieno vigore e si manterrà per tutto il percorso del suo filosofare anche se, a partire da Così parlò Zarathustra, Nietzsche torna a un uso comunicativo e centrale del termine, una parola che nasconde la complessità e pluralità di processi e fenomeni in essa compressi (Giuliano Campioni).
  7. Oltre che in fenomenologia, il tema della volontà viene sviluppato in una prospettiva junghiana e, da un punto di vista empirico, in riferimento all’attività psicoterapica. Questo richiede una altra serie di distinzioni e precisazioni, sino a giungere a fondare logicamente la categoria del possibile dalla quale si inferiscono pragmaticamente: basi psicologiche, caratteristiche e conseguenze del volere. Ciò comporta inoltre la discussione di termini come coscienza e soggetto così come il ripristino di un’organizzazione psicologica che trova come elemento essenziale il concetto di Io (Amedeo Ruberto).
  8. D’altra parte la volontà è un concetto polisemico e si presta a una esplorazione sotto il profilo della dialettica tra il volontario e l’involontario. La dialettica ontologica degli aspetti involontari e volontari rivela tra l’altro la sfida normativa di essere una persona. Essere una persona è esistere come me stesso e mediante tutte le caratteristiche che definiscono ciò che sono (per esempio: gli aspetti biologici, il mio passato, le mie esperienze inquietanti, il modo in cui mi sento definito dalle persone mentre mi guardano, e così via), ma che, oltremodo, non possono descrivere chi sono. La dimensione involontaria del mio essere persona è ciò che è dato “a priori” nella mia esistenza, la materia prima che costituisce le disposizioni sedimentate del mio essere e che pone i confini della mia libertà. L’involontario, dunque, è la non scelta, è l’insieme di tutte le possibilità implicite che limitano le mie azioni e le mie reazioni, il lato oscuro della persona e la sua oscura e dissociata spontaneità. In altre parole, è l’esperienza della necessità, di ciò che non abbiamo e non possiamo scegliere. Nozioni come “pulsione”, “emozioni”, “desiderio”, “carattere” ecc. appartengono al circolo dell’involontario. Le radici dell’involontario, dunque, sono la mia storia, il mio corpo e il mondo in cui sono stato gettato. È perciò che va esaminata questa dialettica tra il volontario e l’involontario, sottolineando come essa rinvii ai concetti di individualità e alterità e alla loro relativa dialettica: se e solo se acconsento volontariamente alla dimensione involontaria della mia esistenza posso metterla al servizio della mia identità (Giovanni Stanghellini e Milena Mancini).
  9. In conclusione viene considerata la possibilità di un altro accesso alla volontà. Assumendo una prospettiva comparativa, si prende le mosse da alcuni rapidi riferimenti ad autori come Spinoza e Schopenhauer, che hanno tentato una sorta di genealogia della volontà e del libero arbitrio seguendone l’invito a decentrarli dal piano del soggetto individuale a quello metafisico-ontologico. E si cerca di riformulare il problema attraverso un “détour” nella Bhagavadgītā, in cui, almeno a una prima lettura, non si parla di volontà, anche se si discute continuamente di azione e di decisione. Utilizzando liberamente il concetto di “scarto” definito da François Jullien, si cerca di mostrare che la Bhagavadgītā può fornirci degli strumenti per ripensare la questione della volontà proprio grazie a quelle stesse ragioni per cui quel concetto non è mai stato formulato (Luca Pinzolo).

Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

 

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