19 n.s./2016
LOGICHE
DEL RISENTIMENTO

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a cura di

Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

 

PREFAZIONE – Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri//SAGGI/Ressentiment: il pericolo da superare per Nietzsche-Zarathustra Giuliano Campioni/Raskol, logica del diavolo: il risentimento in DostoevskijSilvano Tagliagambe/Nietzsche “primo psicologo” e genealogista del ressentimentYamina Oudai Celso/Il risentimento e il desiderio mimetico. A partire da René Girard – Stefano Tomelleri/Risentimento, rimorso e viscosità della libidoLuis Kancyper/Rousseau e l’ingannevole sogno dell’utopia come fine del risentimentoAlfonso M. Iacono/Risentimento e vergogna: le basi morali della responsabilitàVanessa De Luca/Ri-sentimenti della rete. OsservazioniUbaldo Fadini//MATERIALI/Sodoma: risentimento e democraziaGiulio Preti con introduzione di Alessandro Pagnini//INDICE PER AUTORE DEGLI ARTICOLI DI “ATQUE” 1990-2016
 
 

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Con questo fascicolo di «atque» intendiamo riflettere su quella più o meno segreta perturbazione emotiva, molto umana, che è il risentimento. Se lo assimiliamo a un’onda, tanto consideriamo pericoloso provare a cavalcare una qualsivoglia onda del risentimento che ci abbia pure involontariamente attraversato, quanto consideriamo necessario provare a comprendere cosa sia, come si sia generata, come possa propagarsi dentro e fuori di noi, come possiamo governata, e come magari possa dissolversi.

L’intento è quello di perimetrare questa complessa affezione: seguendo le declinazioni delle sue espressioni, ricostruendone gli itinerari e conoscendone le diverse geometrie sarà possibile evidenziarne le varie logiche. E nello svolgere questo compito, seguiremo – come al solito – le differenti prospettive che sono venute a darsi su questo tema nei vari ambiti di ricerca in epoca moderna e non solo. Si pensi soprattutto a studi e ricerche sul risentimento che vanno dalla filosofia all’antropologia politica, dalla filologia alla psicologia (ma anche alla psicologia morale), dalla letteratura alla fenomenologia, dalla sociologia alla psicoanalisi. E quindi alle riletture di vari pensatori che vanno da Nietzsche (nel suo duro confronto con Eugen Dühring) a Hegel, da Montaigne a Girard, da Dostoevskij (che passa attraverso un confronto critico con Sečenov) a Scheler, da Rousseau a Freud (e non solo) sino – su piani diversi – ad Améry, Peter Strawson e Bernard Williams.

Se il tema del fascicolo è il risentimento e in particolare le sue logiche, possiamo così enumerare gli sviluppi che maggiormente si sono evidenziati: come uno dei modi che si dà nelle relazioni umane e quindi come ciò che ci situa emozionalmente nei confronti dell’altro; come qualcosa attraverso cui il corpo emerge in quanto luogo di passaggio, per cui l’interno è sempre liminare, e l’io è non tanto uno stato quanto una transizione e uno scambio con gli altri; come un pensiero lancinante generato da un passato vissuto in modo irriscattabile e in quanto tale corrode e intossica; come terreno della violenza e del conflitto (intraindividuale, interindividuale e politico); come l’effetto di uno “scacco del desiderio”; come fenomeno che ha a che fare non già con un sentimento individuale, bensì con “una modalità del con-essere”; come fenomeno della memoria che contagiando e infettando la stessa memoria attende l’oblio come cura.

  1. Con Friedrich Nietzsche, soprattutto nel suo confronto-scontro con Eugen Dühring, il tema del ressentiment diviene, progressivamente, il tentativo di Nietzsche stesso di liberarsi da un vero e proprio pericolo che insidiava il suo atteggiamento filosofico e persino la sua esistenza. Come si vedrà, questa lotta è chiaramente avvertibile nello Zarathustra la cui azione è insidiata effettivamente da figure del risentimento che mimano e stravolgono il senso della sua predica e della sua azione. E proprio il ressentiment diviene la cifra per comprendere fenomeni storici che hanno portato all’attuale decadenza sociale. Finché – in Ecce homo – alle soglie della fine della vita cosciente, è proprio Nietzsche a confessare apertamente il pericolo che faticosamente aveva cercato di superare perché potesse giungere alla cosiddetta “grande salute” (Giuliano Campioni).
  2. Con Dostoevskij il risentimento è assunto come la causa e al contempo come l’espressione più diretta del raskol, ovvero dello scisma e la divisione tra gli uomini, che essendo ciò che impedisce qualsiasi possibilità di manifestazione dei sentimenti, mette fuori gioco ogni forma di amore e paralizza l’azione – determinando in chi ne è vittima una totale inerzia. È importante ricordare che l’analisi che Dostoevskij conduce su questa oscura forza della psiche, si inserisce nel quadro di un ravvicinato confronto critico con uno scienziato del suo tempo, Ivan Michailovič Sečenov, esplicito fautore sia della riduzione della psicologia alla fisiologia sia dell’esigenza di eliminare ogni riferimento alla mente e ai suoi processi come causa capace di fornire una spiegazione convincente del comportamento dell’uomo e delle sue scelte (Silvano Tagliagambe).
  3. Per certi versi, la teoria nietzscheana del ressentiment ha rappresentato una delle categorie fondanti della visione etico-filosofica del suo autore: l’apoteosi della falsa coscienza e dell’auto-inganno; la menzogna millenaria; l’antitesi perfetta del superomistico “sì alla vita”; lo stigma riconoscibile e archetipico di quell’“umano troppo umano” che contraddistingue tristemente la maggioranza degli individui. Occorre però aggiungere che il ressentiment rappresenta un vero e proprio capolavoro di introspezione psicologica e di finezza analitica. A tal fine occorre pensare tale teoria contestualizzandola entro quella concezione della morale intesa come “linguaggio gestuale delle emozioni” che il filosofo tedesco ritiene decifrabile solo integrando le risorse della filosofia con quelle della psicologia e la medicina. E dopo aver chiarito sia le peculiarità del cosiddetto “metodo genealogico” impiegato da Nietzsche, sia il senso della sua autodefinizione di primo grande psicologo dell’intera storia della filosofia, sia le peculiari sfumature semantiche del vocabolo francese ressentiment in rapporto a termini tedeschi analoghi, occorre evidenziarne le connessioni con la polemica antidarwiniana fondata sulla contrapposizione tra evoluzione e progresso, ovvero tra la perversione vendicativa dei “risentiti” e l’aristocratico vitalismo del Superuomo (Yamina Oudai Celso).
  4. La nozione nietzschiana di risentimento che ammette sostanzialmente una coincidenza tra l’essere dalla parte della vittima e credere in una religione del risentimento, ha d’altronde avuto un ruolo chiave in molte analisi del ventesimo secolo con specifiche implicazioni a carattere antropologico e sociologico (si pensi all’interpretazione della morale borghese di Max Scheler e ad alcune analisi di sociologia della religione di Max Weber). Va però detto che proprio in questo ambito di studi, tale nozione è stata riletta attraverso la teoria mimetica di René Girard che veicola un’analisi della complessa e ambivalente relazione tra desiderio umano e ordine sociale. Facendo riferimento a una dimensione mimetica delle relazioni sociali, lo studioso francese ha finito con il mettere in discussione l’assunto che il desiderio sia un fenomeno individuale e ha fornito una nuova interpretazione del rapporto tra la tradizione giudaico-cristiana, la condizione di vittima e le tendenze sociali moderne e contemporanee (Stefano Tomellieri).
  5. Secondo una certa prospettiva psicoanalitica, la strutturazione del risentimento può essere descritta – à la Freud – attraverso il principio della viscosità della libido. Ma se volessimo trovarne una spiegazione un tale principio non sarebbe sufficiente. Dovremmo piuttosto pensare che il dispiegarsi del fenomeno secondo cui la libido resta fedele a ciò che ha investito come suo oggetto, sia l’effetto del darsi simultaneo di una serie di vicissitudini che legano insieme processi psichici differenti quali l’idealizzazione, la negazione e l’aggressività – tutti processi che si muovono sotto la regìa di ciò che il termine ‘thanatos’ ha finito nella stessa psicoanalisi con l’indicare (Luis Kancyper).
  6. Che ogni risentimento abbia a finire è il sogno delle utopie – ma forse, proprio per questo, le utopie sono noiose. Ad Amaurote, nella città dell’isola di Utopia, non vi è risentimento né conflitto. Se poniamo Rousseau fra gli utopisti, così come è stato sostenuto, e per di più fra gli utopisti egualitari, la domanda è come sia possibile separare un ideale meraviglioso come l’eguaglianza, dalla noia di un sistema sociale senza conflitto e risentimento. In effetti Rousseau non vi riesce. Pensare l’eguaglianza come pacificazione, contro la diseguaglianza come conflitto e risentimento, ha finito con il togliere ogni vitalità all’utopia. La confusione dell’eguaglianza con il conformismo e quindi con l’omologazione, sarebbe il motivo che ha portato il sogno delle utopie a infrangersi nella noia, nel grigiore e nella subordinazione che volevano togliere – magari a ragione (Alfonso M. Iacono).
  7. È possibile pensare a un’idea di risentimento che sia all’altezza della manifestazioni di emozioni, sentimenti, affetti ecc., che si concretizzano attualmente nello spazio antropologico della Rete? Una strada può essere trovata non già nella linea interpretativa del risentimento come qualcosa di costitutivamente negativo (Nietzsche), bensì in un’altra idea di risentimento: quella tracciata da Améry. È questa che evidenzierebbe una nozione di risentimento in grado di tenere insieme memoria e intelligenza. Per questa via sarebbe possibile utilizzare una prospettiva di lettura critico-politica del nostro presente – sempre più digitalizzato (Ubaldo Fadini).
  8. D’altronde – a partire da una prospettiva metodologica che rivendica il ruolo della psicologia morale nell’analisi filosofica e che trova in autori come Peter Strawson e Bernard Williams, una delle sue formulazioni più originali – al risentimento viene assegnato un ruolo specifico nella vita etica, quando, nella sua veste reattiva, è la risposta che si prova in quanto vittime di un danno o di un’ingiustizia e quindi allorché valutiamo il fallimento degli altri nell’attenersi a degli standard morali. In questa prospettiva sarebbe il dispiegarsi di una valutazione morale e come tale rinvierebbe a quelle domande normative che indirizziamo gli uni verso gli altri (Vanessa De Luca).
  9. I “materiali” di «atque» presentano il testo Sodoma. Democrazia e risentimento che Giulio Preti compose nel ’68, e quindi negli anni dove la filosofia andava riflettendo, approfonditamente e talora anche drammaticamente, su questo tema. E lo compose a partire dall’idea che, nella modernità, la democrazia sia innanzitutto cultura e quindi qualcosa che vada affrontata non già in sé bensì all’interno del problema dei valori – dove risuonano sì i problemi della morale ma, con toni ancora più alti, quei problemi della conoscenza e della ragione scientifica che la dialettica storica ogni volta veicola. È dentro una cornice di riflessioni intorno sia a fatti e valori, sia a conoscenza ed etica, sia a eticità e moralità, sia a persuasione razionale e consenso, che Giulio Preti intende infatti far valere una prospettiva oggettivante la quale mostra come ogni giudizio ideologico, carico di emotività, non si sottragga mai alla contingenza né possa vantare un respiro autenticamente morale. E attraverso questa impostazione teoretica assume il risentimento come fatto morale e sociale. Emblematicamente il risentimento sarebbe provocato da un giudizio ideologico e umorale: una “reazione emozionale di ostilità” nei confronti di quei valori che non appartengono al gruppo umano o alla classe di cui fa parte il soggetto risentito. Esso nascerebbe da “un odio impotente e represso”, ovvero da un desiderio di vendetta inappagato o di invidia profonda. E sarebbe alimentato da una “memoria infetta” (come vorrà chiamarla Edgar Morin) che è in grado di provocare un rovesciamento dei valori – solo perché quei valori non appartengono al soggetto che se ne sente escluso. Proprio il risentimento sarebbe ciò che genera una forma di conformismo morale che è sostanzialmente un rifiuto della morale stessa: vale a dire un conformismo che non pervenendo a una critica razionale dei valori, rispecchierebbe il punto di vista di persone né libere né autodeterminate nel giudizio. Per questa via il conformismo sarebbe addirittura da considerare l’effetto dell’astuzia di un sistema di potere che vuole durare: «l’uomo che la struttura sociale condanna a essere uomo di massa afferma che solo la massa è valore». E così, à la Scheler, il risentimento finirebbe con il diventare figlio di un egualitarismo malinteso: il desiderio di eguaglianza che esso veicola, sarebbe il desiderio di chi stando più in basso o temendo di precipitare in basso, degrada coloro che stanno in alto. E l’etica puramente negativa di chi si rivolge contro “il sistema” e contro i suoi valori favorirebbe una logica settaria che negando l’intersoggettività e l’interazione dialogica (sia pure conflittuale), creerebbe per l’appunto gruppi chiusi, a matrice fortemente identitaria, che non prospettano un diverso “cosmo di valori”, ma semplicemente si estraniano dall’ethos che vige – e così facendo ne consacrano l’esistenza (Alessandro Pagnini).

Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

 

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