8-9 n.s./2011
LA COSCIENZA E IL SOGNO. A PARTIRE DA PAUL VALÉRY.

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A cura di Paolo Francesco Pieri

 

INTRODUZIONE/Paolo Francesco Pieri/PARTE PRIMA – DAL SOGNO ALLA COSCIENZA/Paul Valéry, “Frammenti del Cahier Somnia”/Benedetta Zaccarello, “Viatico après coup. Note di accompagnamento alla traduzione”/Carlo Sini, “Il sogno e la coscienza (Peripezie del sapere)”/Silvano Tagliagambe, “La vita è sogno”/Eugenio Borgna, “Sogno ed esistenza. Note su Binswanger”/Stefano Catucci, “‘Reimparare a sognare’. Note su sogno, immaginazione e politica in Michel Foucault”/PARTE SECONDA – IL SOGNO A PARTIRE DA PAUL VALÉRY/Fabrizio Desideri, “Sulla polarità tra ‘estesica’ e ‘poietica’: intorno al Discorso sull’estetica di Paul Valéry”/Felice Ciro Papparo, “Dalla magia naturale del sogno all’ars dell’esitazione in Paul Valéry”/Masanori Tsukamoto, “Gradi del disegno. Per una poetica del sogno in Paul Valéry”/Atsuo Morimoto, “Il sogno e la po(i)etica in Paul Valéry”/PARTE TERZA – I SOGNI NEI RIVERBERI DELLE NOSTRE PRATICHE/Amedeo Ruberto, “Coscienza e sogno in psicoterapia”/Mauro La Forgia, “Psicoterapia e sogno come pratiche retoriche”/Roberto Manciocchi, “Stati di sonnolenza. Ovvero quando sonno e veglia non sono fenomeni uniformi ma ampie classi di fenomeni”

 

Dentro il solco di un dialogo ormai ultraventennale tra esponenti della pratica filosofica e di quella psicoterapeutica, questo fascicolo raccoglie differenti saggi che ruotano intorno al sogno, che la psicologia moderna – come già Platone e Aristotele – assume come l’azione dell’immaginazione nel sonno. Rispetto a questo, i saggi di cui il fascicolo si compone, si soffermeranno sul fatto che ciò che nel pensiero fa problema è la discriminazione tra il sogno e la veglia, e sul fatto che la coscienza onirica va colta nella sua relazione biunivoca con la coscienza desta, e ciò sia, in generale, nelle nostre pratiche quotidiane sia, nello specifico, nelle pratiche psicoterapeutiche.

 

La prima parte del fascicolo prova ad analizzare il percorso che dal sogno conduce alla coscienza e viceversa.

Questa si apre con alcune pagine di Paul Valéry, dove emerge una ricerca approfondita intorno al viaggio della coscienza nel suo eclissarsi nel sonno e nel suo risvegliarsi, veicolando una domanda neanche tanto sotterranea rispetto a che cosa sia il sogno e insieme a questo che cosa sia la coscienza. Come sappiamo, questo poeta e pensatore, tutte le mattine all’alba, per cinquant’anni, tra il 1894 e il 1945, scrive quasi trentamila pagine che poi comporranno la edizione anastatica in folio dei Cahiers. Degli oltre duecento Cahiers che sono stati redatti, qui si è scelto di pubblicare, per la prima volta in italiano, una piccola ma significativa antologia del Cahier Somnia che Valèry compose nel 1911. Si tratta, come la titolazione indica, di un raro quaderno a tema che, tra l’altro, raccoglie riflessioni sulla teoria del sogno e osservazioni sulla fisiologia del sogno, ma persino frammenti della esperienza onirica dello stesso Valéry (Benedetta Zaccarello).

D’altra parte c’è da considerare che sogno e coscienza non sono che gli effetti delle peripezie in cui il nostro sapere è ogni volta implicato.

Deriva da qui, per un verso, che tra l’esperienza del soggetto desto e quella del soggetto che sogna sussiste una chiara discontinuità e, insieme, una sotterranea continuità, e, per un altro verso, che tra un’esperienza verbalmente rappresentata e un’esperienza vissuta c’è una differenza che mai può venire, una volta per tutte, colmata (Carlo Sini).

Proprio sul problema della discriminazione tra sogno e vita cosciente Platone diceva: «Nulla vieta di credere che i discorsi che ora facciamo siano tenuti in sogno; e quando in sogno crediamo di raccontare un sogno, le somiglianze delle sensazioni nel sogno e nella veglia è addirittura meravigliosa» (Teet., 158c). E questo tema riecheggiava nel secolo xvii e nel xviii presso filosofi ma anche poeti. Da un lato, scriveva Shakespeare: «Noi siamo della sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è racchiusa in un sonno» (Tempest., atto iv, scena i). Dall’altro lato, Calderón de la Barca sviluppava il medesimo tema ne La vita è un sogno (1635) quando scriveva: «Sono dunque le glorie così simili ai sogni, che quelle vere son tenute per false e quelle finte per certe? C’è così poco dalle une alle altre che si fa questione di sapere se quel che si vede o si gode sia un sogno o verità?» (atto iii, scena x). Proprio a partire da una tale prospettiva si riflette sul fatto che nel sogno accade un rovesciamento della prospettiva, anche temporale, con cui siamo soliti guardare al mondo, e in questo rovesciamento della percezione di noi, e del rapporto con quello sfondo esterno in cui siamo collocati, entriamo dentro un archivio pluridimensionale che la coscienza non può che abbandonare (almeno parzialmente). E ciò sarebbe reso possibile perché, nel sonno, si dà un allentamento o addirittura una rottura del disegno già stabilito del “reale”, che da solo permette un disegno che ancora non c’è: una sostituzione o una alternativa del disegno che c’è. Ci viene ricordato che, alla maniera di Jung, il sogno può essere inteso come un lavoro di bricolage, ma anche come un archivio delle totalità delle determinazioni possibili del mondo (prima di ogni selezione operata dalla coscienza), e che l’attività onirica, per un certo verso, costituisce un esercizio di preparazione all’intreccio tra realtà (kantiana) ed effettualità, tra senso del possibile e vincoli del qui e ora. Emerge in tutto questo l’idea che la conoscenza è un sistema dinamico che, in quanto tale, continuamente oscilla e si ristruttura, e che, quindi, la “significatività” umana è profondamente segnata dalla capacità di articolare percettivamente e concettualmente, linguisticamente ma anche emotivamente, più mondi di senso. E sempre da qui emerge che per ogni porzione di mondo sussiste una polisemia di significati possibili, ovverosia che per lo stesso ambito di realtà e di esperienza esiste una vasta gamma di significati alternativi. In altri termini, e più precisamente, il processo di acquisizione e conquista della conoscenza è un lavoro creativo che si svolge sulla materia ricca e ampia del reale possibile. Ovverosia la conoscenza è un lavoro creativo che ha a che fare non già con un movimento di ampliamento ed estensione, bensì con un atto di selezione e restringimento del possibile: è, ogni volta, un togliere ed escludere dalle opportunità pressoché illimitate del possibile aderendo al sistema dei vincoli dettati e imposti dall’adesione all’”effettualità”, vale a dire al reale come ci si presenta qui e ora, e quindi nelle circostanze spaziali e temporali nelle quali esso è percepito e concettualizzato. Si tratta, come si vede, di passare da una ontologia delle cose a una ontologia delle relazioni, così come di abbandonare la naturalità immediata del mondo per intendere la naturalità del mondo come il risultato delle relazioni intenzionali e pragmatiche che uniscono (configurano) sia il soggetto che agisce e che conosce, sia l’oggetto verso il quale lo stesso soggetto dirige la propria attenzione, sicché soggetto e oggetto stanno in un rapporto correlativo di attribuzione reciproca di senso (Silvano Tagliagambe).

Ma ancora sul problema platonico della discriminazione tra sogno e vita, un pensatore come Voltaire, da parte sua, scriveva: «Se gli organi da soli producono i sogni della notte perché non potrebbero produrre da soli le idee del giorno?» (Dictionnaire philosophique, 1764, art. “Songes”). E, dalla sua parte, Schopenhauer: «La vita e il sogno sono pagine di uno stesso libro. La lettura continuata si chiama vita reale. Ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) viene a finire e giunge il tempo del riposo allora spesso seguitiamo ancora, fiaccamente senza ordine e connessione, a sfogliare qua e là qualche pagina, spesso è una pagina già letta, spesso un’altra ancora sconosciuta, ma sempre dello stesso libro» (Die Welt, i, § 5). Ed è proprio Binswanger che pone in modo ineludibile una serie di correlazioni tematiche tra sogno ed esistenza indicando una circolarità di esperienze tra il sogno e la veglia: veglia e sogno sono comuni modi di essere costitutivi dell’esistenza, per cui la comprensione del fenomeno del sogno è possibile quando ci si avvicina al sogno considerandolo parte di una struttura esistenziale: vale a dire il sogno è una particolare modalità di esistenza diversa da quella della veglia che però, con questa, ha una comune costituzione a priori. A partire da questo e cioè dal fatto che il sogno indica un modo esistenziale di essere, le esperienze dei sogni e degli stati sognanti vanno assunte come condizioni umane nelle quali si danno fenomenologicamente a vedere tutte quelle espressioni della vita che l’ordine della razionalità considera insignificanti, sicché ogni indagine del sogno deve essere volta ad approfondire il suo contenuto esplicito e manifesto, che è il solo che permette di conoscere cosa si animi e cosa si viva nell’esistenza del sognatore (Eugenio Borgna).

Sottrarre il sogno al destino dell’interpretazione ingenuamente riduttiva della psicoanalisi e più ampiamente a un’ermeneutica dei simboli è poi il compito che un pensatore come Foucault si dà a partire da Binswanger. Infatti per Foucault, il sogno merita di essere colto nella sfera dell’esperienza, perché è proprio nel sogno che la nostra esistenza trova l’opportunità di una fuga in avanti, evidenzia la possibilità di un salto dei limiti e dei vincoli che la veglia ci impone, mettendo così alla prova la capacità di immaginare altro e di pensare diversamente. E sempre per Foucault, ciò cui il sogno conduce ha a che fare non già con le forme simboliche bensì con le strutture fondamentali dell’esistenza e quindi con una antropologia dell’immaginazione cui semmai le forme simboliche mettono capo. Il sogno va quindi inteso come luogo del puro possibile, di un possibile che è tale se non è già stato recintato e quindi circoscritto: se è vero che i limiti costituiscono per il soggetto una dimora sicura, nel sogno lo stesso soggetto è gettato in un oltre che come tale non è più né controllabile né prevedibile. Ed in questa condizione il sognatore viene a essere situato in un laboratorio, dove è l’immaginazione a essere chiamata a esercitarsi. Ma un tale esercizio onirico non ha nulla a che fare con la pura fantasticheria o il vaneggiamento: esso, per un verso, è sempre embricato con lo stato della veglia e a questa costantemente rinvia, e, per un altro verso, veicola sempre una struttura di verità, e per un altro verso ancora, implica la partecipazione dei soggetti in gioco. Il sogno, la sua esperienza, è certamente un’apertura al possibile che richiede una pluralità di interpretazioni, ma ha a che fare con un’apertura che dipende non solo dalla libertà del dormiente rispetto ai vincoli della veglia, ma anche dall’esistenza di certe domande che vengono ridefinite continuamente, e a darsi in maniera irrevocabile (Stefano Catucci).

 

Strettamente connessa con la prima, la seconda parte si propone di riflettere sulla svolta ineludibile che Paul Valéry impone al tema del sogno. In questa – dopo un’importante riflessione sulla polarità tra “estesica” e “poietica” che nasce dal Discorso sull’estetica dello stesso Paul Valèry (Fabrizio Desideri) – prova ad analizzare il sogno a partire da alcuni fondamentali studi.

Proprio ripercorrendo la lunga ricerca valeriana intorno al fenomeno del sogno, emerge che nel pensare sognante il soggetto parteciperebbe al fluttuare dell’essere, ovvero che sotto la dimensione del sonno, dove per l’appunto accade il sogno, il pensare e l’essere possono diventare la stessa cosa. Ciò farebbe immaginare un’architettura del soggetto conoscente e agente che è strutturata intorno all’arte dell’esitazione: vale a dire il soggetto sognante (come per altri versi il soggetto amoroso) si configurerebbe come un soggetto esitante, e come tale attardato nell’informe, dove il suo sentire e vedere supererebbero la significazione perché il campo del significativo è ridotto alla materialità di un senso non ancora divenuto significativo. La coscienza sognante del dormiente renderebbe quest’ultimo non già un soggetto creativo bensì un soggetto artigiano alle prese con la “pasta” del linguistico: e cioè il soggetto sognante lavorerebbe la materia linguistica e maneggiando plasticamente l’informe ne ricaverebbe – allusivamente – più forme possibili. Sempre nel campo del sogno che per Valéry, nei decenni, ha rappresentato un luogo di sfida quotidiana, emerge altresì, sul versante dell’oggetto, che la cosa (il quid) è collocato in uno spazio percettivo indipendente dalla percezione del soggetto, per cui dà a vedere un suo lato che è fuori dall’azione del suo nome, e proprio perché non può essere tradotta in un nome preciso la cosa im-percepita si impone così com’è, ovverosia come qualcosa su cui il soggetto non può ancora avere presa talché essa, dettando al soggetto dei termini impossibili a dirsi, lo rivela come stato di coscienza non ancora in atto: come coscienza che non utilizzando ancora se stessa è coscienza inutile. Al soggetto concreto il soggetto sognante mostrerebbe una maniera di essere e significare, dove le “cose” – conservando una certa indipendenza dalla percezione del soggetto e venendo assunte da una res cogitante in estensione più che in intenzione – danno a vedere un’altra possibile via di costituzione mondana. Nello stato di sonno e nell’attitudine sognante, da un lato, le cose apparirebbero in una costituzione che passa non già per il nome bensì per la forma e il colore, e dall’altro, il soggetto non si farebbe prendere dall’urgenza del conoscere che come tale si risolverebbe, solo e sempre, in un ri-conoscere univoco, talché si attarderebbe a rappresentare le cose cogliendole non più nella loro uniformità ma nella loro multiformità (Felice Ciro Papparo).

Ancora nella ricerca valeriana emergerebbe un nesso profondo tra sogno e attività di creazione, per cui del fenomeno onirico potrebbe essere colta la forza formativa delle sue immagini. In questo senso la potenza del sogno è potenza delle immagini, e ciò che diventa evidente è il nesso tra sogno e disegno. Più che lo scrivere diventerebbe infatti importante il disegnare, e quindi, prima che la nominazione diventerebbe essenziale l’azione del disegno – che è la sola in grado di abbozzare in forma visiva quegli elementi onirici che è difficile indicare verbalmente. Ciò condurrebbe all’idea che i fenomeni onirici vanno “afferrati” non tanto nel loro contenuto significativo, quanto nella loro forma corporea e funzionale, e quindi quando sono ancora vicini alla profondità opaca del corporeo. Se tra disegno e sogno c’è un’analogia, questa sussiste quando pensiamo a un gesto grafico che non sia né controllato né volto intenzionalmente a rappresentare un oggetto pre-esistente – d’altronde ogni formazione onirica è incontrollata, e più che con un atto ha a che fare con una produzione spontanea, che solo successivamente conduce a un riconoscimento delle cose prodotte. Se il sogno è un disegno, occorre pensare a un disegno diretto non già dalla volontà bensì da una forma di automatismo che può accadere senza l’intervento della coscienza vigile. Ancora, se il sogno è un disegno, esso un disegno distratto: un disegno che viene a darsi nell’assenza di un soggetto capace di padroneggiare la situazione e di prendere le necessarie decisioni per seguire un fine. E ancora di più, se il sogno è un disegno, esso è un disegno che si fa «de proche en proche» su quel supporto che ogni volta è dato dallo stato sognante stesso: il sogno è un disegno dove, nel momento della sua formazione, non sono ancora dati né l’oggetto né il soggetto disegnatore, né, tanto meno, le intenzioni di quest’ultimo (Masanori Tsukamoto).

Se nel risveglio si origina il mondo ordinario nella sua consistenza, e insieme a questo, la coscienza metodica e critica che lo concepisce e lo plasma, nel sonno è la facoltà onirica che è in grado di creare quelle immagini che diventano componenti fondamentali della composizione poetica o che addirittura, contengono in nuce il materiale poetico. Lo stato onirico e lo stato di sonno vanno fondamentalmente assunti come una condizione di risonanza, il cui effetto, spontaneo e non calcolato, accade per la debolezza delle sollecitazioni e per l’effetto non ammortizzato delle stesse impressioni sensibili del dormiente. È così che il sogno viene assunto come un sistema in cui il mondo risuona talora armonicamente e armoniosamente, tal’altra dolorosamente e disordinatamente – dandosi come una specie di sottosuolo della coscienza: come una profondità dell’esperienza dell’essere che lo fa diventare intraducibile in termini discorsivi e quindi priva di un nome, e molto vicina all’emozione musicale e alla danza. In questo senso si può dire che l’artista è un dormiente che veglia o un sognatore ben sveglio, che, restando nel sogno e nelle risonanze che la profondità dell’essere induce, è in grado, attraverso i mezzi coscienti, di farne un’opera finita (Atsuo Morimoto).

 

D’altronde con questo fascicolo viene pensato il nesso sistematico sogno-coscienza, che a suo modo, condensa quel nesso, magari più articolato, che è: Corpo-Linguaggio-Mondo, e che il precedente volume (Corpo-Linguaggio) aveva iniziato a sviluppare. La terza parte, in effetti, propone un’indagine sui sogni cogliendoli nel loro riverbero con le pratiche psicoterapeutiche.

Parlare del nesso coscienza e sogno conduce necessariamente a riflettere sulla modalità che assumiamo nel concepire l’articolazione tra conscio e inconscio. Se d’altronde affrontiamo, come è opportuno affrontare, tale problema fondamentale, che comunque resta sul tappeto della pratica terapeutica a orientamento analitico, emerge che il nesso che lega conscio e inconscio è stato posto da Freud in termini di contraddizione e da Jung in termini antinomici.

Apparirebbe ormai inutile il primo approcccio che conduce a prendere in considerazione il sogno come “via regia” per la comprensione di un inconscio separato dalla coscienza. Risulterebbe invece utile assumere conscio e inconscio nel loro carattere antinomico, per cui sono simultaneamente e necessariamente correlati reciprocamente: dove c’è l’uno compare l’altro, ma anche, ognuno è ogni volta dentro l’altro (Amedeo Ruberto).

Il sogno accade dentro competenze linguistiche, più o meno organizzate, di un individuo che è alla ricerca di senso relativamente al mondo in cui si trova collocato. In questa prospettiva, la produzione onirica attiene a quell’individuo tragico che è ogni volta intento a prestare voce a quelli che Binswanger chiama “esistenziali ontologici”. In altri termini, il sogno è un continuo lavorio immaginativo che riproduce le radicali forme di presenza nel mondo che il linguaggio cattura, costringendo l’uomo a un confronto cogente – senza scotomizzazioni e senza artifici retorici (Mauro La Forgia).

È forse il sogno quell’interstizio della nostra attività di veglia, o se si vuole quello sfondo che modella le figure del nostro pensiero cosciente? Accade di fatto che il sognare e il vegliare sono attività che si danno simultaneamente e relativamente tra loro. C’è da un lato un’attività di veglia che si produce nel sonno (coscienza onirica), e c’è, da un altro lato una coscienza sognante (dream-like memory). D’altronde: “cosa è sogno?”, ma anche “che cosa è veglia?”. E poi, il sogno e la veglia sono tra loro due opposti correlati? Secondo la teoria bioniana del sogno e le sue suggestive considerazioni, tutti noi attraversiamo stati coscienti a condizione che nella vita della veglia si sia capaci di sognare – per quanto ciò è pianamente osservabile soltanto in soggetti con disturbi psicotici. Diventa interessante partire dalla prospettiva bioniana perché lì il sogno è inteso come una attività metabolica che è in grado di fornire materiale per il nostro pensiero cosciente e quindi di offrire quelle potenzialità di significato che vengono alla luce nei nostri prodotti narrativi. Ciò che emergerebbe è che noi sogniamo sempre: c’è un sognare che talora ricordiamo al mattino, ma c’è anche un sognare che ci accompagna sempre nella nostra veglia. Ed emergerebbe altresì che è assolutamente difficile stabilire i confini tra i diversi stati di coscienza: da un lato la vigilanza e dall’altro il sogno – con tutte le importanti ricadute nella pratica terapeutica (Roberto Manciocchi).

Si ringrazia Benedetta Zaccarello per l’attenta collaborazione prestata nella preparazione di questo fascicolo.

Paolo Francesco Pieri

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