27-28/2003
LA COSTRUZIONE DELL’ANIMA. FREUD E…

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Carlo Sini, “Quando gli alberi non rispondono: Platone e Freud”/Silvano Tagliagambe, “Inconscio e conscio in Dostoevskij”/Gian Giacomo Rovera, “Tra Freud e Adler rammentando Jung”/Federico Leoni, “L’inconscio è il mondo. J.-L. Nancy legge S. Freud”/Umberto Galimberti, “La questione etica in Freud e Jung”/Luciano Mecacci, “Freud e Pavlov, e la psicoanalisi. Tre note storiche”/Antonino Trizzino, “La dimora estranea. Note su Freud e Tausk”/Maria Fiorina Meligrana e Roberto Manciocchi, “Il silenzio del corpo e l’autismo. Dopo oltre cento anni dalla psicopatologia della vita quitidiana”/Yamina Oudaï Celso, “Antipsicologismo e anticoscienzialismo freudiano. Spunti comparativi”/Adriano Bugliani, “Terapia e fenomenologia. Hegel e la psicoanalisi”

 

Una conversazione improbabile

Freud e Pavlov personalmente non si sono mai incontrati e attraverso i rispettivi libri e articoli si sono sicuramente conosciuti poco. In tutte le sue opere Freud cita Pavlov una volta sola, a proposito degli esperimenti pavloviani “sulle secrezioni di saliva”, e comunque senza alcun riferimento al significato delle ricerche sui riflessi condizionati per la psicologia e la psichiatria (S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905), tr. it. in Opere, v. 5, Boringhieri, Torino 1972, p. 176). Riferimenti a Freud e alla psicoanalisi si trovano invece in Pavlov, ma non tanto nelle pubblicazioni, nei libri o negli articoli, quanto nelle trascrizioni delle “conversazioni del mercoledì” tenute con gli allievi, appunto settimanalmente, tra la fine del 1929 e il 1936. Gli argomenti delle conversazioni erano i più svariati: dalla dinamica della formazione dei riflessi condizionati alle contemporanee teorie sul funzionamento del cervello, all’applicazione della teoria dell’attività nervosa superiore nei campi specifici della psicologia, psicopatologia e psichiatria. Pavlov dimostrava un certo interesse per le spiegazioni freudiane della genesi dell’isteria, delle nevrosi e delle psicosi (fa spesso riferimento al caso Anna O. e accenna ad altre letture come quella dell’Interpretazione dei sogni), ma ritraduceva quelle spiegazioni nei termini della propria teoria fisiologica (I.P. Pavlov, Pavlovskie sredy [I mercoledi pavloviani], Izdatel’stvo Akademii Nauk sssr, Moskva-Leningrad 1949,3 voll.; Pavlovskie kliniceskie sredy [I mercoledi pavloviani], ivi 1954-1957, 3 voll.).

Se Freud e Pavlov avessero avuto l’occasione di incontrarsi e discutere, magari durante uno dei tanti congressi internazionali dei primi decenni del Novecento, senz’altro avrebbero avuto modo di argomentare le loro tesi rispetto ai rapporti tra psicoanalisi e fisiologia.

Certo è che si sarebbero confrontati due orientamenti di ricerca sulla mente ben diversi tra loro, e va aggiunto, due stili di personalità opposti. In termini molto stringati le differenze sono le seguenti. Freud si caratterizza fin dall’inizio come un clinico nel senso letterale: è nel rapporto empatico (leggi transfert) tra analista e paziente (diciamo un soggetto patologico) che si sviluppano sia la costruzione della teoria psicoanalitica sia complementarmente il processo riabilitativo. Pavlov è uno sperimentatore nel senso galileiano: è nel rapporto distaccato tra ricercatore e oggetto (sia esso un cane, una scimmia o un uomo) la condizione necessaria per la crescita della scienza. La teoria freudiana è una concezione “umana” (nel senso intraducibile delle Geisteswissenschaften) dei processi psichici (senza relazione interpersonale nessun processo psichico è possibile); la teoria pavloviana è una concezione naturalistica (Naturwissenschaften) dei processi mentali (senza stimoli ambientali e senza il cervello nessun processo psichico è possibile). Freud ha il suo luogo di lavoro nello studio privato dove solo lui si incontra con il suo paziente; Pavlov lavora in un luogo pubblico assieme ad allievi e inservienti. Di quello che accadeva nei rispettivi “laboratori” Freud e Pavlov discussero per vari anni con i collaboratori ogni settimana, entrambi proprio lo stesso giorno: il mercoledì. Gli ammessi alle serate in casa Freud venivano progressivamente cooptati “in un’ atmosfera da fondazione di una religione” (P. Gray), mentre Pavlov incontrava i suoi in mezzo agli stabulari o nelle cliniche in un clima di maggiore trasparenza. Abbiamo numerose foto di Pavlov al lavoro con i suoi cani aiutato da una squadra di donne e uomini, ma non c’è nessuna foto di Freud mentre solitario analizza uno dei suoi pazienti (per quanto questa constatazione possa apparire superflua o scontata, la facciamo comunque proprio per sottolineare la differenza di approccio e contesto). Freud era il raffinato intellettuale della colta Vienna tra i due secoli, amico di medici, filosofi, scienziati e politici, conoscitore della letteratura mondiale, in corrispondenza con Einstein, Rolland, Schnitzler e Zweig. Pavlov era lo scienziato ottocentesco della chiusa Russia zarista, lettore certamente delle grandi opere della letteratura russa, ma di cui ben poco fluiva nei suoi scritti anche più generali; la sua corrispondenza è tutta uno scambio di opinioni su questo o quel risultato sperimentale. Freud ama collezionare piccoli reperti archeologici, l’hobby di Pavlov è zappare l’orticello della casa di compagna e ogni tanto giocare a gorodki (una specie di cricket) con i figli e gli allievi. Infine Freud è attento ai problemi politici e sociali del suo tempo. Discute ampiamente sulla guerra; a Pavlov gli passa accanto la Rivoluzione, fa in tempo a verificare la politica repressiva dello stalinismo, ma le sue considerazioni in proposito sono rare, e se nel 1917 esprime la propria preoccupazione per i bolscevichi, negli anni ‘30 li osanna (si dice per i grandi finanziamenti ricevuti prima da Lenin e poi da Stalin per le sue ricerche) (Mentre le fonti per la vita personale e intellettuale di Freud sono note (dalla biografia di E. Jones a quella di P. Gay, oltre a tutti i vari volumi degli epistolari), lo sono meno quelle su Pavlov (vedi B.P. Babkin, Pavlov. Una biografia, Ubaldini, Roma 1974; il libro scritto nel 1949 da un allievo russo di Pavlov emigrato dopo la Rivoluzione in Canada, fu da noi aggiornato per la trad. it. aggiungendovi materiale da fondamentali opere successive come I.P. Pavlov v vospominanijach sovremennikov [I.P. Pavlov nel ricordo dei contemporanei], a cura di N.M. Gureeva et al., Nauka, Leningrad 1967 e Perepiska I.P. Pavlova [Corrispondenza di I.P. Pavlovl, ivi 1970]).

Abusando della terminologia weberiana, si può affermare che Freud e Pavlov ci appaiono due tipi-ideali opposti nello studio della psiche umana, seppure maturati nella stessa epoca della nascita della psicologia e della psicopatologia […].

 

La neuropsicoanalisi

Freud avrebbe abbandonato il progetto di una spiegazione neuroanatomofisiologica dei processi mentali (quanto aveva appunto delineato nel Progetto del 1895) perché non vi erano all’epoca metodologie e strumenti adeguati per un tal genere di ricerca. La teoria della psiche che aveva poi sviluppato era quindi provvisoria, destinata a essere soppiantata in un futuro più o meno lontano, da una teoria basata su concetti e dati delle indagini chimiche, biologiche e fisiologiche. Nel loro libro sulla neuropsicoanalisi Kaplan-Solms e Solms hanno messo in evidenza questo punto, citando anche i numerosi passi in cui Freud l’aveva segnalato. I due autori spiegano bene che l’approccio neuroscientifico che poteva aver auspicato Freud deve riguardare la sua concezione dinamica della psiche per la quale si doveva chiamare in causa una teoria altrettanto dinamica dell’ organizzazione funzionale “molare” del cervello (simile a quella proposta da Luria nelle sue opere di neuropsicologia, estesamente illustrata nel medesimo libro). Vengono quindi ritenute insufficienti, le spiegazioni fondate su concetti e dati “molecolari”, relativi all’ attività di singoli neuroni o di circuiti cerebrali molto circoscritti. La possibilità odierna di visualizzare con le tecniche di neuroimmagine l’attività globale delle varie aree cerebrali, durante i più svariati processi psichici, dischiude orizzonti di ricerca, nella suddetta impostazione molare, imprevedibili qualche decennio fa. A che cosa mira la neuropsicoanalisi in questa nuova prospettiva consentita dallo sviluppo delle neuroscienze? Sicuramente a un arricchimento e a uno sviluppo della conoscenza della psiche umana in cui la concettualizzazione della psicoanalisi possa essere rivista e valorizzata, a una importante opera di integrazione tra le neuroscienze, la psicologia e la psicoanalisi.

A nostro avviso le più precise ed equilibrate indicazioni in questa direzione vengono dai due noti articoli del neurofisiologo Kandel. Per Kandel la psicoanalisi (ma, attenzione, il suo discorso era partito da una riconsiderazione dello sviluppo della psichiatria americana nel suo complesso nel secondo dopoguerra) occorreva che gli psichiatri e gli psicoanalisti rivedessero le loro concezioni e la loro pratica alla luce dei risultati della biologia e delle neuroscienze contemporanee. Spesso, ritagliando alcune frasi dei suoi articoli dal contesto più generale delle sue argomentazioni, la lucida analisi di Kandel è stata letta come se egli avesse considerato la biologia e le neuroscienze odierne una conferma del passato impianto teorico della psicoanalisi. Si trovano quindi, e non solo su articoli di riviste divulgative, espressioni come “il ritorno di Freud” o “Freud aveva ragione”, come se la scienza fosse fatta di corsi e ricorsi o di affermazioni vere o false. Al massimo Kandel vede in alcuni concetti della psicoanalisi una anticipazione originale di alcuni fenomeni che oggi vengono spiegati in termini di meccanismi biochimici o di circuiti neurali. Per quanto sappiamo, non abbiamo mai visto citato – quando ci si affida all’autorità del Premio Nobel Kandel per rivalutare in blocco la psicoanalisi – le pagine del suo articolo in cui si fa riferimento a Pavlov e ai suoi esperimenti sui riflessi condizionati.

Pavlov, scrive Kandel, “sviluppò potenti paradigmi per l’approfondimento associativo che portarono a un cambiamento permanente nello studio del comportamento, spostandolo, da un’enfasi sull’introspezione a un’analisi oggettiva degli stimoli e delle risposte. È esattamente questo il tipo di cambiamento che stiamo cercando nelle indagini psicoanalitiche del determinismo psichico”. Infine, si conclude: il condizionamento classico “ci dà dei suggerimenti (insights) sull’emergere della psicopatologia”.

Oggettivismo, determinismo psichico, il condizionamento classico come metodo per spiegare i disturbi psichici: sono gli stessi termini di Pavlov usati nei suoi studi sulle nevrosi e le psicosi, è la stessa terminologia del dibattito Freud-Pavlov negli anni ‘20. Ma non è solo un problema di datazione storica del lessico (o un vezzo dello storico a dimostrazione della sua erudizione). Infatti la spiegazione proposta da Kandel della genesi fisiologica dell’ansia sembra mettere tra parentesi, se non ignorare, decenni di dibattito epistemologico sullo statuto della psicoanalisi e di ogni impostazione psicodinamica nella indagine e nella terapia (sic) dei disturbi psichici. L’ansia, una nevrosi, una psicosi, per quanto abbiano un corrispettivo fisiologico (se non ci fosse il cervello, non ci sarebbe la mente) non sono entità “oggettive”, come può esserlo il riflesso condizionato, ma sono entità “soggettive” o meglio entità co-costruite intersoggettivamente. Un farmaco o un’ operazione neurochirurgica possono, al limite, eliminare qualsiasi processo psichico normale o patologico, ma quando questi processi si manifestano, essi si manifestano solo all’interno di un rapporto interpsichico. Solo recentemente è stato avviato un approccio neuroscientifico che prende in considerazione la condizione assolutamente necessaria per cm, per studiare le basi cerebrali della mente, si deve porre la mente nella sua condizione naturale, cioè una mente che interagisce con altre mentil 1. In questo impostazione vediamo una possibilità di superamento dell’empasse Freud-Pavlov che rincontriamo spesso anche nella più rinnovata neuropsicoanalisi.

Un’ultima, complementare, annotazione storica. Stando a Kaplan-Solms e Solms, nel loro libro sulla neuropsicoanalisi, la seconda topica freudiana, coniugata con la teoria delle tre unità funzionali del cervello umano proposta da Luria, avrebbe un preciso fondamento anatomofisiologico. Ci aiuta qui la sintesi che si trova in un articolo divulgativo di Solms, accompagnato da una figura che confronta l’apparato psichico freudiano (diviso in Es, lo e Super-Io) con la differenziazione anatomofisiologica del cervello umano:

 

La parte centrale del tronco cerebrale e il sistema libico – le aree che presiedono agli istinti e alle pulsioni – corrispondono grosso modo all’Es di Freud. La regione ventro-frontale, che controlla l’inibizione selettiva, la regione dorso-frontale, che controlla il pensiero auto-cosciente, e la corteccia posteriore, che rappresenta il mondo esterno, corrispondono all’Io e al Super-I0 (M. Solms, Il ritorno di Freud, in «Mente & Cervello», 10, 2004, pp. 46-52).

 

È vero che i ricercatori stranieri non leggono i libri e gli articoli in italiano, ma un po’ di rivendicazione patriottica ce la saremmo aspettata dagli psicologi o gli psicoanalisti italiani che hanno accolto con entusiasmo questa originale topografia cerebrale della teoria freudiana. Ci riferiamo a Renato Balbi che propose la stessa mappatura (con le stesse figure) in un libro del 1965 (R. Balbi, L’evoluzione stratificata, Edizioni Scientifiche, Napoli 1965. Questa teoria fu poi divulgata nel libro, che a suo tempo ebbe una notevole diffusione, scritto assieme a R. Balbi, Lungo viaggio al centro del cervello, Laterza, Roma-Bari 1981). Kandel ci ricorda nei suoi articoli che la situazione della psichiatria a orientamento psicodinamico, la psicoanalisi in particolare, era molto diversa negli anni ‘60 con una egemonia indiscutibile sugli altri orientamenti. E probabile che una stratificazione anatomica dell’ apparato psichico freudiano, qual fu proposta da Balbi, abbia fatto sorridere con benevolenza gli psicoanalisti italiani dell’epoca (è solo una supposizione, non si è fatta una ricognizione di eventuali recensioni o citazioni in ambito psicoanalitico).

Certo è che colpisce rivedere nel terzo millennio diagrammi del genere che appiattiscono la dinamica psichica, collocata da Freud – pensavamo definitivamente – in una dimensione interpersonale dove l’osservatore e l’osservato interagiscono nell’osservazione/interpretazione reciproca, in una visualizzazione (anche nella forma più sofisticata delle neuroimmagini) dove l’osservatore è di nuovo distaccato rispetto all’oggetto osservato. Che si tratti, in effetti, piuttosto di un “ritorno di Pavlov”?

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